La tigre. La tigre.
In effetti, le tigri sono un buon punto da cui partire per organizzare una riflessione su questo "qualcosa"(molto sottile, attenzione, non facile da esprimere...) che mi accompagna da ieri. Una serie di suggestioni ed auto-suggestioni, se ci piace chiamarle così. Alcune persino superstiziose, altre più sensate e logiche. Reali, più che razionali, poichè riguardanti il modo in cui la mia persona vede il mondo circostante ovvero l'unica realtà che mi è possibile osservare e studiare senza grossi equivoci, per il momento. La mia testa la conosco insomma,si evolve e muta poco alla volta ma in modo costante ed io non la perdo di vista un secondo.
31 Dicembre. E' l'ultimo giorno dell'anno, di un anno molto particolare a dire la verità, e questo è già un primo pensierino latente, inespresso, qualcosa che ha probabilmente stimolato la mia sensibilità dal principio.
Una giornata lunga come poche e fatta di avvenimenti e momenti, come tutte. Magica come nessuna, o almeno non mi ero mai resa conto di una cosa del genere. Una "magia" diversa dalla solita che mi sento addosso in ogni istante della mia vita. Che poi è semplicemente l'essenza sottile del pensiero, della mente.
Gli avvenimenti ed i momenti cominciano ad incastrarsi ed il tempo non scorre via come il solito fiume, procede camminando come un uomo o un animale. Ogni piccola cosa è un passo fatto in maniera forse automatica e naturale ma paradossalmente consapevole proprio perché fisica, inequivocabile. Un passo è un passo insomma. Un passo ti sposta in una direzione ed isolato dalla sua funzione non serve a molto.
Un vago sentore come di surreale avvolge i miei sensi, tutti quanti sono, e mi fa percepire. A tratti stacco, smetto di origliare alla porta della percezione per fare il punto su quel che ho captato.
Da ieri mattina...Gente con indumenti viola. Bambini piccoli, imbacuccati fino alle orecchie da madri premurose e portati a spasso da papà burberi. Non fanno mai caso al cenno e all'espressione che rivolgo istintivamente ai piccolini,che dal canto loro sono ancora troppo innocenti per ricambiare sorrisi volutamente gratuiti. Della strada che percorro solo questo mi resta stampato negli occhi. Nelle braccia sento scorrere il peso leggero di un essere umano, come l'impulso a mimare il gesto del sorreggere, del cullare. Questi i miei pensieri, limpido e lampante il sovrappensiero: quello che può accadere, cristallino e rapido nella mia fantasia ed un calcolo esatto delle probabilità (tutt'altro che matematico) che accada sul serio. Logica di una logica tutta sua la connessione tra queste due stanze, questi due livelli del mio pensare che si alternano altalenando tra il primo piano e lo sfondo come icone luminose. Nel frattempo continuo la mia marcia dritta verso dove devo andare, accantono tutta la matassa con la (stranissima! insolita!) certezza che si scioglierà da sé, più tardi. Patisco paziente il freddo e le minacce di un raffreddore memorabile in arrivo. Un fastidio bestia le torte rustiche che mi porto dietro, sia per l'attenzione che ci ho messo a non ammaccarle durante il tragitto sia per la curiosità di sapere se mi sono riuscite (sono una cuoca pessima e paranoica). Arrivo, facce amiche, gente conosciuta e qualcuno mai visto, tutti molto familiari comunque. Tranquillo, situazione regolare, piacevole. Poi di nuovo fuori, tutti. In sette come sardine in un'automobilina che non ce la fa, molto simpatica come situazione, giovane. Scarichiamo qualcuno. Spesa, le ultime cose. Molliamo l'automobilina ( non proprio spontaneamente) e siamo in quattro nel freddo cane, a piedi. Raggiungiamo gli altri e andiamo scherzando e comperando mutande rosse, il freddo non lo sento più ma sento l'attesa. Manca una persona, manca lui che ha fatto quasi undici ore di treno e bisogna andare a prenderlo, sta per arrivare! Forza che la stazione dei treni è lontana. Mutande rosse, risate, sosta al negozio di strumenti musicali e poi giù, andiamo a prenderlo tutti insieme, a piedi. Gli fa piacere, è un pò provato dal viaggio e contento di vederci tutti lì. Non vedeva l'ora. Sembra felice, saluta, abbraccia. Ci salutimo poco, forse ci si aspettava qualcosa di diverso visti i precedenti. Mi va benone così. C'è tutta la giornata, tutta la notte... ecco qua. Mi cammina accanto, finalmente realizzo, la sensazione del mattino acquista un senso. Ma non mi preoccupo. Combinazione: tutti a pranzo non lontano da casa mia. Ottimo, torno a casa e mi preparo, esco che ho tutto quel che serve per starmene tranquilla, nel caso. E torna quella sensazione, mentre ho da aspettare il bus per mezz'ora. Strano presagio... astratto e determinante. Potrò avere davvero tutte le carte in regola per starmene in pace, non lo farò. Inquietudine leggera...in qualche modo bella. Non me la toglierò di dosso. Un campanello d'allarme che ho in qualche modo deciso di portarmi dietro costantemente scampanellante. La testa volutamente fasciata prima di romperla, ho deciso così. Il problema dove non c'è. Irrazionale, infantile, sciocco ed inevitabile, quelle cose che te le senti addosso punto e basta.
Insomma arriva la sera,una bella festa, la tigre che mi rincorre come previsto, mi acciuffa e mi fa male ogni tanto ma ne esco dignitosamente messa, in fondo lo sapevo. Tutto come previsto. Poi la notte viene e si porta dietro il forse che mi rincorre dalla strada fredda percorsa al mattino.
Il forse non è più un forse, l'aria è carica, nuova, pulsante. E' come se i miei sensi cambiassero direzione, all'improvviso tutto sa di vita, di una vita diversa. Come fossi un essere nuovo spuntato per caso che guarda in uno specchio, che si guarda negli occhi con gli occhi di uno sconosciuto. Non mi sento io. Una me stessa che non conosco trema sopraffatta dal desiderio di vivere, vivere e basta! Con una forza ed una gioia quasi dimenticate. Pensare che è sufficiente questa sensazione, anche solo sfiorata, ad alleviare il dolore delle ferite più segrete. Un cuore di passaggio si sofferma un attimo a battere accanto al mio, rompe la campana solitudine per una notte. Un concerto, una musica dal ritmo tanto anomalo e giovane e strampalato da non poter essere altro che dolce. Le anime intanto si guardano intorno sconvolte, poi si urtano di spalle, si aggrappano come possono l'una all'altra e danzano. Che altro dovrebbero fare? Danzano.
Ed è questo tutto quello che conta. E' semplicemente una delle sensazioni più belle, un piccolo miracolo, una gioia che tinge l'anima di caldo, di buono, di vivo. Dona un senso ai gesti, un senso che a volte non si può trovare altrove. Se non si ha la capacita di vivere lo splendore innato di quello che ci è dato provare si rischia di non trovarlo affatto. Andando avanti a credere che ce ne sia uno solo rischiamo di perderlo per sempre. Ed è un rischio troppo grande. Perché, in nome di cosa lasciar morire una parte di noi? E' così semplice e bello accettare di ascoltare e parlare con tutto il proprio essere. Un'intimità, una voce dell'anima che non ci è concesso liberare in nessun'altra occasione. Ci mettiamo tanto a rendercene conto eppure è scritto dentro la natura, dentro di noi. Dritta sotto il nostro naso la chiave di una liberazione sognata ed invocata per anni - che dico?! - per secoli... ancora così lontana da molti. Saremmo così belli, un esercito di menti libere così come sono atterrate sulla vita. Grazie compagno.
Il più seducente abito della Fanciulla Stellata. Una delle più sorprendenti espressioni della notte stampata dentro fino al risveglio, la testa sulle spalle e niente di ragionevole da temere.
Ma quel tarlo premeditato, quell'esserino te lo trova il modo per far scattare l'allarme. Anche il più piccolo e sciocco dei modi possibili, anche il più meschino. Anche il più assurdo ed irragionevole, ma te lo trova. In fin dei conti se è un tarlo premeditato te la sei cercata. Ed eccomi qui seduta accanto al mio tarlo a meditare. A fare il cane che si morde la coda. In fondo è da ieri mattina che predisponevo per me queste noie. Forse è solo perché fa pensare che me la sono cercata con il lanternino e me la sono covata ed alimentata con l'aiuto di tutto quanto c'è di completamente irragionevole in me. Mi sono giocata le sensazioni inspiegabili, la superstizione e gli idoli strampalati pur di convincermi dell'improbabilissimo. E ci sono riuscita. E domani impiegherò il mio tempo ed il mio coraggio per levarmi dalla testa questa convinzione terrificante, che mi sono impiantata solo perché? Fa bene pensarci. Fa bene provarle certe cose. Ci sono paure che anche quando sembrano palesemente imbecilli ed inoffensive fanno il loro dovere. Questa fa pensare. Fa rimettere in discussione giudizi, condanne, sentenze e tesi inconfutabili sostenute per tanto tempo ragionando a senso unico.
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5 commenti:
ciao naftalino... buon anno seminale... buone scritture... buon teatro... e fai gli esercizi di voce! ;-)
Grazie maèèè! li faccio li faccio... Anche se ora sono in pausa raffreddore "-_-
Mamma che ridere,ora che ci penso bene mi hai ricordato vagamente una persona che un bel po' di tempo fa mi diceva
"Vabbè sci, vabbè brava, vabbè però mo facemo che ce stemo zitti tutti e due e penza (pendza) a sonà che se n'è già partita mezz'ora a filosofare..."
Dovrei imparare a dare retta a certa gente... ;P
eh, la saggezza perduta di una volta quando era tutta campagna e c'erano le quattro stagioni...
VILLANI non faccia tanto il principino della giusta dizione
;ppppp
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