domenica 27 gennaio 2008

Esserci.

Basta ripescare una canzone che ormai da un paio d’anni se ne stava muta, dentro al suo disco, chiusa in un cassetto. Mi basta una canzone per riesumare passaggi di vita che rispetto a quello presente sono brutti, davvero. Forse meno dolorosi, pieni di alibi e di limiti “rassicuranti” che non chiederei mai indietro, ma veri e propri buchi neri. Anni che sembrano molto più lontani della mia infanzia, talmente vuoti sotto certi punti di vista che potrebbero andare persi. Ho cambiato rotta all’improvviso e se guardo quella svolta dalla giusta distanza mi vengono i brividi, mi fulmino di piacere. Un po’ come essere alla guida di un elicottero che cade in picchiata verso il suolo, all’ultimo secondo tiri qualche leva fantastica e riprendi quota in un attimo. Piacere, libertà, sollievo, commozione. Ecco, questo. E non è passato tanto tempo. Poteva andare diversamente. Non poteva però andare meglio.
Mi scoppia la testa volevo parlare di tutta un’altra cosa, accidenti. Ma il problema è questo. Abbattuti i vincoli ci si ritrova a fare i conti con uno spazio aperto e più grande. Non tutti sono in grado di affrontarlo. Posso dire di essere felice tutto sommato, mi sento forte e capace di ricostruire anche con pezzi di macerie e fango. Sola dentro di me mi apprezzo e mi accetto, mi conosco ed amo me stessa per quello che sono davvero. Quando ho una paura bestiale o devo resistere ad una tentazione folle faccio appello alla parte di me che si ama. Perché allora non mi sento degna della fiducia degli altri? Ho provato tante volte a spiegare i perché ed i percome di certe sensazioni, non c’è niente da fare. Non sono capace esprimermi. Non sono capace di comunicare, finisco spesso per dire e mostrare, anche forzando parecchio, cose che hanno poca attinenza con il mio vero essere e vivere. Per analogia (sbagliato e tristemente umano) penso che anche gli altri siano incapaci di trasmettere la propria visione del mondo o le proprie emozioni. Proietto sulle persone una serie di fantasie, di seghe mentali. Credo sempre che ci sia qualcosa di nascosto da scoprire, qualcosa di stupefacente da dover andare ad estirpare. E’ una cosa mostruosa. Mi sento una specie di detective fallito, sempre lì a scrutare il nulla. E come avere le allucinazioni. Corro dietro alle allucinazioni e la vita vera fa da contorno. Coltivo il mio amor proprio solo quando sono chiusa nel mio mondo. Quando mi relaziono con gli altri mi detesto. Mi faccio quasi schifo a volte. Mi sento maledettamente sbagliata. Sono sempre in soggezione, sempre con la testa da un’altra parte. Se una persona mi parla io sono dentro l’immagine falsata che la mia fantasia ha creato di quella persona, così che mentre quello parla registro meccanicamente quello che dice, rispondo, eseguo, ma nella testa ogni santa volta sono occupata a rigirarmi vita morte e miracoli suoi (poco attinenti alla realtà) e miei. Ogni santa volta. Mi serve uno sforzo enorme per evitare di fare questa cosa. Finisco a pensare a cose come la storia degli occhi che si ritrova e quello che conosco del suo passato. A volte mi distraggo completamente da quello che mi dice la gente, da ciò che realmente cerca di comunicarmi in quel momento. Ho la mente stipata di questa roba. Stipata di fesserie non ci entra la verità, la semplicità di vedere le cose per quelle che sono ed accettarle. E’ come fingere. Colui che finge puzza di carnefice, di persona che inganna. Io mi sento una vittima in fuga. E come un proteggere il proprio mondo delle favole dove sei tu il centro dell’universo e stai lì a compiacerti tutto il tempo. Da far accapponare la pelle. Se non me ne rendessi conto sarei una povera disperata, o forse sarei felice. Sarebbe tutto molto più semplice. Non sono collegata al mondo, non mi sento una persona degna di essere apprezzata dagli altri, anche questa poi è una presunzione. Se qualcuno mi apprezza mi rifugio nel pensiero che quel poveraccio non sa un accidente di come è fatta una persona piacevole e mi chiudo a riccio sempre preoccupata di non mostrarlo. Ne viene fuori una specie di finta modestia artificiosa, mi è insopportabile. Oppure scatta un egocentrismo che non tiene minimamente conto dell’esistenza di esseri umani intorno a me. Ho sempre la testa ingombra da mille cose che controllo a fatica. L’eco di un disagio, di un errore anche piccolo, può durare tantissimo tempo sempre vivo e scottante. Così per tutte le emozioni intense, specialmente quelle negative. Mi sento un chiasso di mondi paralleli che si scontrano dentro la mia testa ed esplodono, poi raccattano i propri pezzi e ricominciano. Ho un bisogno disperato di risolvere questa cosa, di cambiare radicalmente, di nuovo. Come faccio, dopo essermi massacrata così, a dire di amarmi? Mi voglio bene anche in questo momento e mi perdono, perché sono convinta di potercela fare. Il fatto è che sogno tanto fare qualcosa che presuppone una presenza mentale differente, qualcosa per cui è necessario toccare con mano l’essenza della realtà propria ed altrui e magari anche oggettiva, ammesso che esista. Qualcosa che non tutti possono fare, meno che mai le persone come me. Ma cambiare, lavorare, cercare di capire, lottare per conquistare un nuovo punto di vista, una nuova sensibilità…questo possiamo farlo tutti. Da bambini è sufficiente farsi insegnare come si cammina a testa in giù.

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