mercoledì 30 gennaio 2008

Autoanalisi,al solito. Attenzione, è una mattonata. Ti piacciono i pipponi nevrotici? Scrivere mi aiuta a rallentare il corso dei pensieri.O forse no.

La notte porta consiglio, oggi mi sento bene.
Non serve a niente puntare i piedi, in fondo sono io a gestire la mia vita.
"Ognuno è fabbro della sua sconfitta, ognuno merita il suo destino."
Più che perdere le staffe mi conviene riflettere. Però non importa, non mi pento di aver perso la bussola. Sbagliando si impara. Non potrà mai andare tutto liscio, la mente deve scorrere come un fiume, non si può stare sempre lì a contenersi. Qualche volta serve mandare tutti a quel paese, l'importante è farlo con amore. L'importante è esserci dentro alle cose, io scappo, ho le gambe che mi partono da sole. Poi torno indietro.
Dico con amore e non con passione (anche se sarebbe più corretto passione nel mio caso) perché come mi ha spiegato quella santa donna che mi insegna filosofia il termine passione può indicare qualcosa che sottomette l'anima, da patire insomma, una cosa del genere. Forse è riduttivo, ma ha cambiato il mio punto di vista, mi ha aperto una strada nuova. Un'altra di quelle persone che stimo e dalle quali ricevo rispetto ed attenzione, ma non affetto. Sempre una punta di fastidio. Deve essere il mio modo di fare. Non riesco a togliermi di dosso questo fatto di mostrare le certezze. Se sono sicura di qualcosa si vede. Se poi la mia certezza è clamorosamente sbagliata la bombardo e la ricostruisco un pò meglio. Ma questo non si vede. Il fatto è che le cose che si imprimono nella mente di qualcuno come consapevolezze, nella mia diventano certezze. Vorrei non averne di queste sicurezze usa e getta. Sbaglio sempre con una convinzione tale che appaio irremovibile. Quello che gli altri non sanno è che ci metto venti secondi a rendermi conto ed a rivedere il mio punto di vista, lo faccio volentieri, non mi costa nessuno sforzo. Ma non si vede da fuori, sembro una testa di legno. Sorge spontanea la domanda: ma se tu sai cosa hai nella testa e ti garba, perché preoccuparsi tanto di quello che appare agli altri? Perché esternarlo per forza? Perché il fatto che gli altri possano farsi un'idea totalmente sbagliata di me mi fa orrore. Mi spaventa a morte pensare che i rapporti con le persone potrebbero incrinarsi per errori di comunicazione. Però resta il fatto che il mio pensiero ed il mio sentire devono passare per la razionalità, poi per il linguaggio, attraverso le parole, il corpo, attraverso l'ambiente e le circostanze per approdare alle orecchie degli altri, alla loro mente, al loro vissuto, al loro sentire. Non gli arriverà mai la versione originale, e questo è assodato. Il dramma (sì, il dramma, perché chi non ha problemi concreti se ne deve creare per forza di altra natura...) è che spesso mi rendo conto che arrivano messaggi completamente privati della loro natura, che non hanno niente a che vedere con quello che ho in mente. E qui mi si dirama talmente tanto la riflessione che mi perdo. Dunque, con ordine (si fa per dire) : sono io che ho un modo di trasmetterli che fa schifo? Eppure mi nego completamente la possibilità di sintesi pur di scansare tutti gli equivoci. O forse dovrei dire che non possiedo affatto capacità di sintesi. Comunque: probabilmente ottengo l'effetto contrario, ingarbuglio talmente tanto il discorso che il messaggio rimane incastrato nei fronzoli e non passa. Oppure, con questo fatto che cambio le mie certezze di continuo, ne sparo talmente tante e così velocemente che mi contraddico ed arrivati a quel punto figurarsi...che gigantesca sega mentale. Mi sento la personificazione della nevrosi occidentale. Certo, perché poi non posso fare a meno di pensare che la reazione degli altri a quello che io trasmetto deve compiere esattamente lo stesso percorso all'inverso per arrivarmi ovviamente falsata. Ma allora la comunicazione non esiste! Passiamo il tempo a prenderci in giro! Saremo tutti soli come cani per il resto della nostra esistenza! Un momento. ho perso il senso della misura, di nuovo. Non può essere così. Però il ragionamento mi fila, a te fila? Bo. C'era un tizio che non mi ricorso come si chiama, mi raccontava mia sorella forse un paio di anni fa, lo stava studiando all'università. Devo chiederle chi accidenti era. Insomma questo tizio doveva scrivere la sua tesi di laurea, credo, su un certo autore. Solo che non ci capiva un accidente dei testi di quell'autore. alla fine ha scritto una tesi su qualcosa come l'incomunicabilità. Forse dovrei informarmi, potrebbe tornare utile alla mia paranoia. Comunque, per la cronaca, quella di filosofia mi ha detto che sono una specie di sofista fascista. Praticamente se mi butto da un ponte faccio un favore all'umanità. All'umanità, addirittura...ma come ci sentiamo importanti stasera! Scherzo ovviamente, mi piace troppo vivere. Tanto ormai mi starò facendo un soliloquio, a meno che qualche masochista... ecco su questa cosa della capacità di sintesi dovrei riflettere un attimo. Insomma è difficile che qualcuno arrivi a leggere questo post fino a questo punto, se lo fa o ci gode a martellarsi le palle o non ha niente da fare. Molto probabile che si addormenti prima. Ecco, anche questa è non comunicazione. Aiuto. Aiuto! Mi esplode il cranio. Tanto per soddisfare la curiosità del mio lettore fantasma aggiungerò che quando provo la suddetta sensazione di sovraccarico ( si dice così?) mi diletto a tentare le seguenti soluzioni: (in ordine di frequenza, decrescente)
-corro avanti e indietro per la mia camera con la musica a palla nelle orecchie ed in dieci
secondi mi ritrovo a giocare in trasferta in un bellissimo mondo parallelo (letteralmente);
-mi sforzo di addormentarmi e magari riesco anche a sognare;
-mi anestetizzo il cervello (lascio alla vostra immaginazione la scelta dei mezzi, i più disparati.)

Dottore, sara grave?

martedì 29 gennaio 2008

Lucidità zero. Collera e cuscini. Cristalli di uva fragola.

Che bella sensazione. E' come se le mani volassero sui tasti. Li percepisco appena, non ha importanza, mi sento rilassata. Vorrei gridare e sbattere i piedi per terra ma non lo farò, mi sento serena, per ora. Dunque: c'è chi è un talento e chi deve farsi il culo. Io mi farò il culo se necessario, perché no. In qualche modo dovrò pur farcela. Staremo a vedere. Faccio molta fatica, dei sacrifici e degli sforzi fisici, emotivi, mentali e principalmente caratteriali che a volte mi sembrano più grandi di me e sono certa che non saranno vani. Poi bastano due parole di qualcuno a sfilargli da sotto il naso l'importanza che meritano. E allora vaffanculo. Non posso mollare, non me ne frega niente di mollare. Ci deve essere una maniera per me. Tanta fatica per tutto, questa è la mia maledetta maniera. Devo ancora scoprirla una cosa che mi viene naturale, a parte la voglia di scrivere, di sparare parole. Ma se le parole possono essere così vuote paragonate ai gesti, mi riservo il diritto di sentirmi persa. Persa. Però sono giovane. Sono giovanissima. Lasciatemi crescere e vedremo cosa ne viene fuori, passerà tutta questa voglia generale di buttarmi via, di confinarmi. Come ci sono i talenti naturali e la gente che sforza ci sono anche i legami spontanei e quelli indotti. Orribile? Pazienza. Male? Prendiamone atto. Torno all'improvviso a sentirmi sola sotto il punto di vista più intimo. Sola, isolata, divento cattiva. Mi sento il vuoto intorno in certi momenti. In un modo o nell'altro rifiutata, affettuosamente o a brutto muso allontanata, tenuta a debita distanza. Le persone che amo non hanno nessun bisogno di me, ne farebbero volentieri a meno. Al massimo mi sopportano. Cazzo ci sarà un posto per la mia persona o no? Deve esserci qualcosa di sbagliato nel mio modo di provare affetto, amore, stima. Finisco sempre per essere valutata mediocre e discretamente fastidiosa. E' una cosa che ti leva la speranza, l'entusiasmo. Eppure ho sempre dato tutta me stessa per quello che mi parla al cuore. Ma se mollo ora non mi rialzo più. Quindi che devo fare? Posso fare ragionamenti maturi e consapevoli per tutto il tempo che voglio ma sono quella che sono. Piango e stringo i denti, che altro? Niente. Ho bevuto troppo.

lunedì 28 gennaio 2008

Voci

Bene, stasera devo scegliere a quale delle due voci nella mia testa dare ascolto.

Una suona più antica e dai bassifondi ripete:
A volte è sufficiente un respiro per svegliare una persona, altre volte no. Può essere necessario tirargli via la coperta. Se sei quello che deve tassativamente alzarsi ma non sente la propria sveglia può essere una grossa fortuna avere qualcuno che pensa a tirarti via il piumino, poi il freddo farà il resto. Certo lì per lì lo uccideresti, poi basta il tempo di connettere e lo ringrazi del favore. Le sveglie di questo tipo servono anche a farti passare il torpore in men che non si dica.
A volte la mente sbrodola, straripa e non se ne accorge. E' in ogni caso positivo riportarla in carreggiata. Ma può fare molto male per via delle illusioni. Strapparsi le illusioni da dentro è come strapparsi le zecche dalla carne. Farà pure un male bestiale ma non puoi lasciarle lì. L'importante è riuscirci, da soli o con il provvidenziale calcio in culo di qualcuno. Adesso chiudi gli occhi, respira a fondo visto che hai imparato come si fa. Ecco. Piangi se serve, svuota, scarica, sfogati. Quando hai finito torna lucida e sgombra. Allora saprai cosa fare. Dai ascolto a che ne sa più di te. Non sono molte le persone delle quali puoi fidarti ciecamente, quindi fatti cieca e fidati, sbarra i punti interrogativi per un pò. Essere tenaci non vuol dire essere di coccio. Tenere duro non vuol dire avere la testa di legno monodirezionale farcita di segatura e corredata da paraocchi. Chi, per una questione di principio, non si ferma ad un semaforo sebbene conosca perfettamente la segnaletica e la sua utilità non è indipendente e ribelle, è ignorante ed ottuso. Per di più rischia di schiantarsi. Di fare male a se stesso e nel peggiore dei casi alle persone che gli stanno intorno. E' ora di crescere e di abbandonare questa filosofia del tutto e subito. Dai tempo al tempo e dagli anche valore, dagli anche spessore. Non sfiorare i tuoi anni al volo. Vai a fondo, ascolta solo chi parla con il cuore.

L'altra è più giovane e simile a quella che sentono gli altri:
Hai preso la tua decisione. Non lasciare che sia l'esperienza di qualcun altro a dominare la tua. Vai dritta per la tua strada, alle conseguenze penserai dopo. E poi non fare tutto così intimo, prendi le cose per quelle che sono. Tu hai il potere di decidere dove sbattere i denti. Tanto sei cocciuta, alla fine farai quello che ti pare. Farai quello che vuoi fottutamente fare a costo di combattere con le unghie e con le zanne. Oppure ti sembra solo troppo bello per poter accadere a te? Che ti succede, donna di ferro? Hai già perso le palle? Tanto lo sapevo, io. Rassegnati adesso e sei una fallita. Sei debole. I forti non si fanno veicolare nemmeno da cristinterra. Con la prudenza non si ottiene nulla, si resta inchiodati. Non rassegnarti a vivere protetta in un bozzolo di buoni consigli, fatti male. Rischia. Abbi il fegato di sfidare l'altezza e la vertigine, cammina sull'orlo e guarda giù. Si vive una volta sola, non hai molto tempo da perdere, molla questo benedetto contegno e corri.
L'hai giurato a te stessa.



Penso di avere già conosciuto abbastanza bene la seconda e di averla presentata a fin troppa gente che non la trova affatto simpatica. Credo sia il caso, per una volta, di scegliere la soluzione meno immediata. Comincerò a dar retta ad una persona che non esiste ancora ma vuole nascere dentro di me e mostrarsi. A fare spazio nella mia mente per un individuo più grande, cresciuto, che non ci entra. Un vero passo verso il futuro, una presa di coscienza.

domenica 27 gennaio 2008

Esserci.

Basta ripescare una canzone che ormai da un paio d’anni se ne stava muta, dentro al suo disco, chiusa in un cassetto. Mi basta una canzone per riesumare passaggi di vita che rispetto a quello presente sono brutti, davvero. Forse meno dolorosi, pieni di alibi e di limiti “rassicuranti” che non chiederei mai indietro, ma veri e propri buchi neri. Anni che sembrano molto più lontani della mia infanzia, talmente vuoti sotto certi punti di vista che potrebbero andare persi. Ho cambiato rotta all’improvviso e se guardo quella svolta dalla giusta distanza mi vengono i brividi, mi fulmino di piacere. Un po’ come essere alla guida di un elicottero che cade in picchiata verso il suolo, all’ultimo secondo tiri qualche leva fantastica e riprendi quota in un attimo. Piacere, libertà, sollievo, commozione. Ecco, questo. E non è passato tanto tempo. Poteva andare diversamente. Non poteva però andare meglio.
Mi scoppia la testa volevo parlare di tutta un’altra cosa, accidenti. Ma il problema è questo. Abbattuti i vincoli ci si ritrova a fare i conti con uno spazio aperto e più grande. Non tutti sono in grado di affrontarlo. Posso dire di essere felice tutto sommato, mi sento forte e capace di ricostruire anche con pezzi di macerie e fango. Sola dentro di me mi apprezzo e mi accetto, mi conosco ed amo me stessa per quello che sono davvero. Quando ho una paura bestiale o devo resistere ad una tentazione folle faccio appello alla parte di me che si ama. Perché allora non mi sento degna della fiducia degli altri? Ho provato tante volte a spiegare i perché ed i percome di certe sensazioni, non c’è niente da fare. Non sono capace esprimermi. Non sono capace di comunicare, finisco spesso per dire e mostrare, anche forzando parecchio, cose che hanno poca attinenza con il mio vero essere e vivere. Per analogia (sbagliato e tristemente umano) penso che anche gli altri siano incapaci di trasmettere la propria visione del mondo o le proprie emozioni. Proietto sulle persone una serie di fantasie, di seghe mentali. Credo sempre che ci sia qualcosa di nascosto da scoprire, qualcosa di stupefacente da dover andare ad estirpare. E’ una cosa mostruosa. Mi sento una specie di detective fallito, sempre lì a scrutare il nulla. E come avere le allucinazioni. Corro dietro alle allucinazioni e la vita vera fa da contorno. Coltivo il mio amor proprio solo quando sono chiusa nel mio mondo. Quando mi relaziono con gli altri mi detesto. Mi faccio quasi schifo a volte. Mi sento maledettamente sbagliata. Sono sempre in soggezione, sempre con la testa da un’altra parte. Se una persona mi parla io sono dentro l’immagine falsata che la mia fantasia ha creato di quella persona, così che mentre quello parla registro meccanicamente quello che dice, rispondo, eseguo, ma nella testa ogni santa volta sono occupata a rigirarmi vita morte e miracoli suoi (poco attinenti alla realtà) e miei. Ogni santa volta. Mi serve uno sforzo enorme per evitare di fare questa cosa. Finisco a pensare a cose come la storia degli occhi che si ritrova e quello che conosco del suo passato. A volte mi distraggo completamente da quello che mi dice la gente, da ciò che realmente cerca di comunicarmi in quel momento. Ho la mente stipata di questa roba. Stipata di fesserie non ci entra la verità, la semplicità di vedere le cose per quelle che sono ed accettarle. E’ come fingere. Colui che finge puzza di carnefice, di persona che inganna. Io mi sento una vittima in fuga. E come un proteggere il proprio mondo delle favole dove sei tu il centro dell’universo e stai lì a compiacerti tutto il tempo. Da far accapponare la pelle. Se non me ne rendessi conto sarei una povera disperata, o forse sarei felice. Sarebbe tutto molto più semplice. Non sono collegata al mondo, non mi sento una persona degna di essere apprezzata dagli altri, anche questa poi è una presunzione. Se qualcuno mi apprezza mi rifugio nel pensiero che quel poveraccio non sa un accidente di come è fatta una persona piacevole e mi chiudo a riccio sempre preoccupata di non mostrarlo. Ne viene fuori una specie di finta modestia artificiosa, mi è insopportabile. Oppure scatta un egocentrismo che non tiene minimamente conto dell’esistenza di esseri umani intorno a me. Ho sempre la testa ingombra da mille cose che controllo a fatica. L’eco di un disagio, di un errore anche piccolo, può durare tantissimo tempo sempre vivo e scottante. Così per tutte le emozioni intense, specialmente quelle negative. Mi sento un chiasso di mondi paralleli che si scontrano dentro la mia testa ed esplodono, poi raccattano i propri pezzi e ricominciano. Ho un bisogno disperato di risolvere questa cosa, di cambiare radicalmente, di nuovo. Come faccio, dopo essermi massacrata così, a dire di amarmi? Mi voglio bene anche in questo momento e mi perdono, perché sono convinta di potercela fare. Il fatto è che sogno tanto fare qualcosa che presuppone una presenza mentale differente, qualcosa per cui è necessario toccare con mano l’essenza della realtà propria ed altrui e magari anche oggettiva, ammesso che esista. Qualcosa che non tutti possono fare, meno che mai le persone come me. Ma cambiare, lavorare, cercare di capire, lottare per conquistare un nuovo punto di vista, una nuova sensibilità…questo possiamo farlo tutti. Da bambini è sufficiente farsi insegnare come si cammina a testa in giù.

martedì 15 gennaio 2008

Maledizione maledizione maledizione

Posso. Forse devo. Devo. Forse posso. Ho dei picchi di umore incredibili. Ci sono cose che non posso dire. Ci sono cose che rappresentano la mia stessa vita e che dagli altri verrebbero etichettate come scontate, carine, banali, normali, va bene e allora? Maledizione. In ogni caso ci ha preso, tanto per cambiare. Frustrata e fortunata insieme. Mi serve una specie di pretesto, se solo mi venisse in mente qualcosa, se solo fossi capace... eppure devo averlo messo da qualche parte. Quando ero bambina lo sapevo fare. Ero capace, ero brava era sogno. Poi buio. Poi luce. Ho ancora gli occhi traumatizzati dal lampo. Adesso posso vedere solo devo abituarmi. Prima o poi lo ritrovo, devo solo ricordarmi dove l'avevo buttato prima di spegnere la luce. Forse salta fuori quando smetto di cercarlo come un qualunque aggeggio perso, nel momento più inaspettato spunta fuori. Speriamo che sia così. Da qualche parte, seppellito sotto montagne di roba vecchia, spiaccicato e sbrindellato, bisognoso di restauri e cure e coccole, offeso dal lungo oblio...c'è ancora lo sento. E il tassello mancante del puzzle, la cuitura che tiene insieme le pagine, il pezzo fondamentale senza il quale tutto il resto non funziona, non ha senso. Puoi buttare tutto a mare se manca quel pezzo lì. Tocca scavare fino a ripescarlo anche a costo di consumarsi le mani a sangue.

Sempre per la serie visioni a vuoto

C'è una persona. E' una persona bianca che non si muove e resta in piedi. Una persona che pesa. Fa un passo avanti e crolla a terra dal dolore. Ha mosso il suo passo destro nel punto in cui comincia una scintillante distesa di spilli. Donne leggere giungono camminando sugli spilli tutti dritti luccichini che sembra un prato ghiacciato. Giungono come visioni soavi in suo soccorso. Orrore. La loro purezza fa quasi schifo. La loro compassione ferisce. La loro pietà è come una vanga che getta terra su chi ancora respira. La bestia dell'invidia resta a contorcersi, non si alzerà più.

mah...

Nascondo questa fiaba
questa festa di non parole
ogni volta che passa la sera
dentro il bianco dei vostri occhi
e vorrete sfogliare
e vedrete sfilare

un sortilegio per ogni carezza che sbrina il ricordo e forma la lacrima e trema nel freddo torrente invernale e sfreccia nel brivido e torna nel mare s'infrange con forza e ferma la corsa in frantumi dispersi cristalli di sale che evapora vola poi scivola al suolo cavalca la scossa che squassa il cielo e trapassa la terra ed ogni lingua di questo fuoco rimasto nel grido commosso di guerra in ogni corsa del rosso al cuore che stringe la morsa del cuore in gola
finché cresce non finisce quello che non conosce fine.

domenica 13 gennaio 2008

In vino veritas? Ma è latino questo?

Insomma... uomini, donne, cOME DUE GRANDI CATEGORIE.
Non avverto più la differenza. mmmim mi sembra strano. ma la vit a è così. peccato per la mia salute. oggi volevo scrivere sulla loro porta voi potete aiutarci, perché noin lo fate? e tutti che uirelavanoi urlavano. Di sabato sera urlano tutti? Sentivo delle grida. Mi sono avvvicinata ad un tièpo r gli ho detto tesoro non ti fare male che di corde vocali te ne danno solo un paio in dotazione. Gridava credoi di capire quello che sentiva dante all'inferno... è massacrante. Siamo giovani e vivi, perché per o contro la nostra volontà dobbiamo finire in questo stato?????????????????????????????????????????????????????????????????
'
'
?
? Pazienza, accettare è la mia ancora di salvezza.Accettare, accogliere, pazienza. Se stasera avessi incontrato voi te donna, te uomo, vale più del mio ikl tou viveree? non direste mai sì ed è perciò che dovreste guardarvi in petto e riconoscervi il merito di aavwer trasformato la mia vita. Io vivrò. Snon ancora bloccarta qua ma ce la farò grazie a voi grazie vedrete vedrete vedrete. grazie
<sai quando pensi ad una perssona e dici a quello gli dobbiamo fare un regalo per quanto è buono?. Io vi regalo la vita ho deciso da tempo ed ora ne sono certa. Io vi darò la mia vita in regalo con tutta la gioia ed il dolore.

mercoledì 9 gennaio 2008

Comunicare...

Non ho le parole per descrivere quello che provo. Non riesco a rassegnarmi al fatto che nella mia testa gli altri non ci sono. Dovrei convincermi che comunicare alcune cose non è pensabile, non è umano. E' una delle mie scoperte dell'acqua calda, certo. Certo è anche che leggere, ascoltare, studiare,capire o recepire le cose è un conto, viverle è un altro. Siamo condannati a questa solitudine senza tregua oppure esiste una qualche maniera di superarla? C'è un modo di comunicare davvero? Sicuramente il non poter entrare in comunicazione in modo perfetto, autentico e puro ha dei lati positivi. Ma è anche molto doloroso. Da un lato è la possibilità di nascondere, dall'altro l'impossibilità di mostrare. Rimane il fatto che l'uomo è stato capace di fare molto, io sono microscopica rispetto al patrimonio che è la mente umana, molto oltre il tempo e lo spazio. Eppure è sotto i miei occhi. Posso servirmene. Scorro come la parte più piccola, ma esisto. La famosa goccia nel mare è sempre il mio conforto, è la mia porta sull'universo e quando si apre mi sento dentro l'infinito, paradossalmente è come se mi allargassi fino a contenere tutto. E' come se non esistesse nulla, non mi sento più, non c'è un dentro ed un fuori, è una cosa unica. Se solo riuscissi a far durare questa sensazione per più di qualche secondo...non starei nemmeno qui a scriverlo. La vita non sarebbe più quello che è. Le parole che uso, quello che io dico... è tutto già scritto da altri, già sentito. Quello che tutti tentano di fare è scrivere quello che non si può scrivere, dire quello che non si può dire. Il problema è che non si può arrivare a provare una cosa del genere e comunicarla ad altri esseri umani come è consueto fare con quello che i nostri sensi percepiscono. Non si può come non si può prendere il cielo e portarlo a terra. Se arrivato in quel posto senti il bisogno di tornare indietro e portare qualcuno con te, tornare indietro e pretendere di parlare di quello con qualsiasi linguaggio umano...lo perdi. Piombi giù di nuovo, all'improvviso. Non ti basteranno mai le parole, mai. Non esistono. Puoi solo cercare il coraggio di andare avanti verso quel posto, quella cosa, quella sensazione, quello che è insomma... ed augurarti che gli altri trovino la loro strada da seguire per arrivare lì.

domenica 6 gennaio 2008

...

Caos.
Buio.
Colla sotto i piedi.
Pietre sulle spalle.
Pressione in testa.
Grilli nello stomaco.
Lacrime in bocca.
Rabbia in tasca.

Sciopero del silenzio meditativo.

venerdì 4 gennaio 2008

Documento che attesta il preoccupante tasso di catastroficità dell'effetto catastrofico dell'abbandono allo stato brado della mente dei fanciulli.


Marta dovresti farlo di mestiere. E' un'opera d'arte.
Che nostalgia!!

Confusioni colorate... voglia di crisi adolescenziali? Servitevi pure, offre la casa.

Avete presente quando, da piccoli, dopo aver lavorato con le tempere si provava a mescolare tutti i colori possibili insieme? A me veniva fuori sempre una specie di viola-marrone.
E' un po' quello che sta succedendo adesso nella mia testa. Diciamo pure che è il mio modo di ragionare. Sono frettolosa e pigra, poco metodica, vorrei i risultati senza l'impegno ma quando riesco a mettercelo non sento nessuno sforzo...solo che non mi viene proprio di impegnarmi, a volte.
Sono un po' il tipo da glorie usa e getta. Ad ogni minimo traguardo raggiunto mi cullo sugli allori e mando tutto a farsi benedire. Mi butto a capofitto dentro le esperienze, agisco d'impulso, pretendo di pensare a 100 cose nello stesso momento. Mi sovraccarico e non concludo nulla. Mi sforzo in tutte le maniere di risolvere questo caos ma non ci sono ancora riuscita e finisco sempre per crollare di nuovo e piombare nella confusione. Non riesco a centrarmi, sono completamente spostata e mi sale una rabbia veramente bestiale, veramente triste.
Mi prende un'inquietudine profonda, non riesco a comprendere me stessa e quello che provo, mi sento disorientata. Sensazioni bruttissime, il disagio che mi blocca tutto ogni volta che non mi sento all'altezza, mi sento immatura, mi sento piccola ed inesperta se confronto gli anni che ho vissuto con vite ben più lunghe e piene. Spesso vivo quasi come una colpa il fatto di essere nata solo 17 anni fa, sento sempre di non aver fatto abbastanza. A volte mi sento perfettamente inutile, tagliata fuori, inadeguata in ogni situazione. Sento di non meritare la considerazione delle persone che stimo e mi abbandono a reazioni disperate e patetiche. Quando sbaglio il mio primo istinto è quello di sotterrarmi, di chiudermi in un bozzolo e dormire, frantumarmi il cervello per non sentire niente.
Avete presente troppo strana per i normali e troppo normale per gli strani... Troppo grande per i piccoli e troppo piccola per i grandi. Insomma io non trovo il mio posto al mondo. E non esisterà finché non mi deciderò a farmi il benedetto mazzo e cambiare degli atteggiamenti che sono radicati molto in profondità dentro di me, da anni magari.
Mi rendo conto che è abbastanza stupido, abbastanza scontato. Normale, forse.
La cosa brutta è che queste sensazioni mi piovono addosso tutte insieme, quando sento questa roba qui è una roba sola. Non sono tante emozioni distinte ma una sola, una specie di carico da novanta. E' una cosa che forse nemmeno ha un nome, una situazione...di merda, ecco. E' un sunto di tutti i modi di sentirsi un pesce fuor d'acqua. E' come se qualcosa tentasse in tutti i modi di farmi diventare un'ameba. Mi passa la voglia di fare tutto.

Per fortuna generalmente sono ottimista e riesco a perdonarmi, o almeno maschero l'insicurezza sperando con tutto il cuore che qualcuno la smascheri e mi capisca. Mi perdoni per la miseria, assolvetemi cazzo! Ma in fin dei conti nemmeno io capisco gli altri malgrado tutti gli sforzi. Viviamo tutti nella nostra testa, nessuno capisce un accidente del mondo come lo vedono gli altri, sembra impossibile. Per fortuna ancora credo. Credo nell'uomo, nella sua anima, in quella magia che fa succedere cose straordinarie, comunicazione vera che avviene solo nella mia fantasia ma mi carica di speranze. Non voglio pensare che siano illusioni. E' qualcosa di bellissimo che mi da sempre un pò di forza per reagire, mi fa pensare che le cose vadano prese sui denti prima o poi, vadano affrontate ed è una bella sensazione. Mi fa dire che ce la posso fare, mi fa compiere degli sforzi e mi aiuta a ritrovare la fiducia in me stessa. Mi voglio bene, non posso tradirmi. Mi fido di me, altrimenti non potrei fidarmi di nessuno. A volte riesco a piantare tutto in un universo così positivo, vasto ed astratto da poter sistemare anche l'atroce. Ammesso che io l'abbia mai sperimentato. Sento di avere ancora tanto da soffrire e da affrontare, ma sono certa che andrà tutto bene. Tutto è nel saper guardare al bene, nel voler combattere per quello che si ritiene positivo senza temere l'avanzata di quello che non lo è. Non vuol dire ignorare il peggio, ma contrattaccare. Basta trovare quel pezzettino di fazzoletto ancora pulito, afferrarlo finché si è in tempo e tirare, appendersi a quello per tentare di rigirare la situazione anche quando sembra impensabile. Ma non è poi tanto facile da spiegare, non serve spiegarlo. Serve cercarlo, ognuno nel suo mondo.

Posso dire dunque di possedere anch'io un mio equilibrio, storto e precario forse, ma che ancora si regge. Mi è capitato di leggere la miniguida di un omino del web sui blog, e diceva che il blog-diario è un tipo di attivita che, tendenzialmente, si fa più per sé stessi che per gli altri. Aveva ragione! Ma il fatto che possa essere letto da tutti mi torna molto utile e lo rende diverso da un semplice diario. Quello che conta quando scrivo un diario è sfogarmi, parlo a me stessa in una lingua che comprendo solo io, poco trasmissiva. Raccontarsi ad un qualsiasi interlocutore, vero o presunto, è ben diverso. E' un esercizio di comunicazione.

martedì 1 gennaio 2008

Anno nuovo...se il buon giorno si vede dal mattino, questo 2008 non sarà bello o brutto. Sarà complicato.

La tigre. La tigre.

In effetti, le tigri sono un buon punto da cui partire per organizzare una riflessione su questo "qualcosa"(molto sottile, attenzione, non facile da esprimere...) che mi accompagna da ieri. Una serie di suggestioni ed auto-suggestioni, se ci piace chiamarle così. Alcune persino superstiziose, altre più sensate e logiche. Reali, più che razionali, poichè riguardanti il modo in cui la mia persona vede il mondo circostante ovvero l'unica realtà che mi è possibile osservare e studiare senza grossi equivoci, per il momento. La mia testa la conosco insomma,si evolve e muta poco alla volta ma in modo costante ed io non la perdo di vista un secondo.

31 Dicembre. E' l'ultimo giorno dell'anno, di un anno molto particolare a dire la verità, e questo è già un primo pensierino latente, inespresso, qualcosa che ha probabilmente stimolato la mia sensibilità dal principio.

Una giornata lunga come poche e fatta di avvenimenti e momenti, come tutte. Magica come nessuna, o almeno non mi ero mai resa conto di una cosa del genere. Una "magia" diversa dalla solita che mi sento addosso in ogni istante della mia vita. Che poi è semplicemente l'essenza sottile del pensiero, della mente.

Gli avvenimenti ed i momenti cominciano ad incastrarsi ed il tempo non scorre via come il solito fiume, procede camminando come un uomo o un animale. Ogni piccola cosa è un passo fatto in maniera forse automatica e naturale ma paradossalmente consapevole proprio perché fisica, inequivocabile. Un passo è un passo insomma. Un passo ti sposta in una direzione ed isolato dalla sua funzione non serve a molto.

Un vago sentore come di surreale avvolge i miei sensi, tutti quanti sono, e mi fa percepire. A tratti stacco, smetto di origliare alla porta della percezione per fare il punto su quel che ho captato.

Da ieri mattina...Gente con indumenti viola. Bambini piccoli, imbacuccati fino alle orecchie da madri premurose e portati a spasso da papà burberi. Non fanno mai caso al cenno e all'espressione che rivolgo istintivamente ai piccolini,che dal canto loro sono ancora troppo innocenti per ricambiare sorrisi volutamente gratuiti. Della strada che percorro solo questo mi resta stampato negli occhi. Nelle braccia sento scorrere il peso leggero di un essere umano, come l'impulso a mimare il gesto del sorreggere, del cullare. Questi i miei pensieri, limpido e lampante il sovrappensiero: quello che può accadere, cristallino e rapido nella mia fantasia ed un calcolo esatto delle probabilità (tutt'altro che matematico) che accada sul serio. Logica di una logica tutta sua la connessione tra queste due stanze, questi due livelli del mio pensare che si alternano altalenando tra il primo piano e lo sfondo come icone luminose. Nel frattempo continuo la mia marcia dritta verso dove devo andare, accantono tutta la matassa con la (stranissima! insolita!) certezza che si scioglierà da sé, più tardi. Patisco paziente il freddo e le minacce di un raffreddore memorabile in arrivo. Un fastidio bestia le torte rustiche che mi porto dietro, sia per l'attenzione che ci ho messo a non ammaccarle durante il tragitto sia per la curiosità di sapere se mi sono riuscite (sono una cuoca pessima e paranoica). Arrivo, facce amiche, gente conosciuta e qualcuno mai visto, tutti molto familiari comunque. Tranquillo, situazione regolare, piacevole. Poi di nuovo fuori, tutti. In sette come sardine in un'automobilina che non ce la fa, molto simpatica come situazione, giovane. Scarichiamo qualcuno. Spesa, le ultime cose. Molliamo l'automobilina ( non proprio spontaneamente) e siamo in quattro nel freddo cane, a piedi. Raggiungiamo gli altri e andiamo scherzando e comperando mutande rosse, il freddo non lo sento più ma sento l'attesa. Manca una persona, manca lui che ha fatto quasi undici ore di treno e bisogna andare a prenderlo, sta per arrivare! Forza che la stazione dei treni è lontana. Mutande rosse, risate, sosta al negozio di strumenti musicali e poi giù, andiamo a prenderlo tutti insieme, a piedi. Gli fa piacere, è un pò provato dal viaggio e contento di vederci tutti lì. Non vedeva l'ora. Sembra felice, saluta, abbraccia. Ci salutimo poco, forse ci si aspettava qualcosa di diverso visti i precedenti. Mi va benone così. C'è tutta la giornata, tutta la notte... ecco qua. Mi cammina accanto, finalmente realizzo, la sensazione del mattino acquista un senso. Ma non mi preoccupo. Combinazione: tutti a pranzo non lontano da casa mia. Ottimo, torno a casa e mi preparo, esco che ho tutto quel che serve per starmene tranquilla, nel caso. E torna quella sensazione, mentre ho da aspettare il bus per mezz'ora. Strano presagio... astratto e determinante. Potrò avere davvero tutte le carte in regola per starmene in pace, non lo farò. Inquietudine leggera...in qualche modo bella. Non me la toglierò di dosso. Un campanello d'allarme che ho in qualche modo deciso di portarmi dietro costantemente scampanellante. La testa volutamente fasciata prima di romperla, ho deciso così. Il problema dove non c'è. Irrazionale, infantile, sciocco ed inevitabile, quelle cose che te le senti addosso punto e basta.

Insomma arriva la sera,una bella festa, la tigre che mi rincorre come previsto, mi acciuffa e mi fa male ogni tanto ma ne esco dignitosamente messa, in fondo lo sapevo. Tutto come previsto. Poi la notte viene e si porta dietro il forse che mi rincorre dalla strada fredda percorsa al mattino.

Il forse non è più un forse, l'aria è carica, nuova, pulsante. E' come se i miei sensi cambiassero direzione, all'improvviso tutto sa di vita, di una vita diversa. Come fossi un essere nuovo spuntato per caso che guarda in uno specchio, che si guarda negli occhi con gli occhi di uno sconosciuto. Non mi sento io. Una me stessa che non conosco trema sopraffatta dal desiderio di vivere, vivere e basta! Con una forza ed una gioia quasi dimenticate. Pensare che è sufficiente questa sensazione, anche solo sfiorata, ad alleviare il dolore delle ferite più segrete. Un cuore di passaggio si sofferma un attimo a battere accanto al mio, rompe la campana solitudine per una notte. Un concerto, una musica dal ritmo tanto anomalo e giovane e strampalato da non poter essere altro che dolce. Le anime intanto si guardano intorno sconvolte, poi si urtano di spalle, si aggrappano come possono l'una all'altra e danzano. Che altro dovrebbero fare? Danzano.
Ed è questo tutto quello che conta. E' semplicemente una delle sensazioni più belle, un piccolo miracolo, una gioia che tinge l'anima di caldo, di buono, di vivo. Dona un senso ai gesti, un senso che a volte non si può trovare altrove. Se non si ha la capacita di vivere lo splendore innato di quello che ci è dato provare si rischia di non trovarlo affatto. Andando avanti a credere che ce ne sia uno solo rischiamo di perderlo per sempre. Ed è un rischio troppo grande. Perché, in nome di cosa lasciar morire una parte di noi? E' così semplice e bello accettare di ascoltare e parlare con tutto il proprio essere. Un'intimità, una voce dell'anima che non ci è concesso liberare in nessun'altra occasione. Ci mettiamo tanto a rendercene conto eppure è scritto dentro la natura, dentro di noi. Dritta sotto il nostro naso la chiave di una liberazione sognata ed invocata per anni - che dico?! - per secoli... ancora così lontana da molti. Saremmo così belli, un esercito di menti libere così come sono atterrate sulla vita. Grazie compagno.

Il più seducente abito della Fanciulla Stellata. Una delle più sorprendenti espressioni della notte stampata dentro fino al risveglio, la testa sulle spalle e niente di ragionevole da temere.
Ma quel tarlo premeditato, quell'esserino te lo trova il modo per far scattare l'allarme. Anche il più piccolo e sciocco dei modi possibili, anche il più meschino. Anche il più assurdo ed irragionevole, ma te lo trova. In fin dei conti se è un tarlo premeditato te la sei cercata. Ed eccomi qui seduta accanto al mio tarlo a meditare. A fare il cane che si morde la coda. In fondo è da ieri mattina che predisponevo per me queste noie. Forse è solo perché fa pensare che me la sono cercata con il lanternino e me la sono covata ed alimentata con l'aiuto di tutto quanto c'è di completamente irragionevole in me. Mi sono giocata le sensazioni inspiegabili, la superstizione e gli idoli strampalati pur di convincermi dell'improbabilissimo. E ci sono riuscita. E domani impiegherò il mio tempo ed il mio coraggio per levarmi dalla testa questa convinzione terrificante, che mi sono impiantata solo perché? Fa bene pensarci. Fa bene provarle certe cose. Ci sono paure che anche quando sembrano palesemente imbecilli ed inoffensive fanno il loro dovere. Questa fa pensare. Fa rimettere in discussione giudizi, condanne, sentenze e tesi inconfutabili sostenute per tanto tempo ragionando a senso unico.