sabato 26 luglio 2008

Il mio corpo sono io (Antonio Scurati)

"Dato che Aspasia, invece, intendeva benissimo, fu lei a chiedere spiegazioni al dottor Maspero: "E cosa sarebbe questa isteria di cui io e tutte le giovani figlie del secolo saremmo afflitte, dottore?". Maspero, sconcertato dal fatto che la fanciulla chiedesse spiegazioni scientifiche della propria malattia, si voltò verso la contessa Morosini.

"L'amiamo tutti come una figlia, Giuseppe," gli disse la contessa con familiarità, "anche se non lo è. Non abbiamo patria potestà su di lei. Aspasia, per di più, è una ragazza istruita. Per quanto possa sembrare strano, grazie alla principessa di Belgiojoso ha ricevuto, sebbene in maniera irregolare, un genere di istruzione che di solito si riserva ai maschi. Conosce la filosofia e la scienza, oltre alla musica e alle altre arti gentili. Se vuole sapere, e se il darle spiegazioni non ti imbarazza, lascia che sappia."

Indispettito, Maspero si picchiettava la montatura d'osso del monocolo sul ginocchio.

" I tempi sono cambiati, caro Giuseppe. Non è più come quando mi accompagnavi alla Scala a sentire Rossini, prima che il conte Morosini mi chedesse in sposa," aggiunse poi l'anziana contessa infilando tra le sue parole una punta di garbata civetteria.

"Vedete, signorina," esordì allora il dottor Maspero camminando su e giù per la stanza, come se stesse tenendo una lezione nell'aula ad anfiteatro dell'università, "l'isteria è un male proprio della natura femminile. Fin dall'antichità, certi stati convulsivi che s'impossessavano delle giovinette furono ricondotti alla particolare fisiologia della donna. In essa l'organo riproduttivo, che la terminologia scientifica della quale ci avvaliamo definisce "utero", predisposto da madre natura a ricevere il maschio e ad albergarne il seme da cui germoglierà il nascituro, ebbene, quest'organo vive di vita propria rispetto al resto dell'organismo. Già Aristotele riconobbe che l'utero agisce, con licenza parlando, come una sorta di piccolo animale rintanato nel corpo della donna. Quando una giovinetta raggiunge l'età da marito, l'animaletto viene scosso da spasmi e contrazioni frequenti. Se volessimo insistere nella metafora, si potrebbe dire che gli viene fame."

A quel punto Maspero smise di girovagare per la stanza e si fermò davanti ad Aspasia. Adottò un tono di voce più mite, come se volesse evitare alla paziente un ulteriore turbamento. "Voi, però, non dovete farvene una colpa. Durante la crisi, la donna è attraversata da forze oscure che la travolgono e, al tempo stesso, la giustificano. Si tratta di una forza che sommerge la sua volontà e della quale la sua persona spirituale è completamente incolpevole. Il corpo agisce come forza del tutto esteriore alla sua responsabilità morale."

Aspasia tentennava vistosamente il capo. Il dottor Maspero non potè fare a meno di rintracciare in quel rictus il segno inequivocabile di una nuova e imminente convulsione isterica. allora ammorbidì ulteriormente il tono della sua voce, e ammiccando bonario verso la contessa disse: " Tranquillizzatevi, signorina, vedrete che tutto si sistemerà presto. A quanto mi dicono, la vostra fame sarà presto saziata da giuste nozze. Anzi, colgo l'occasione per rivolgervi i miei migliori auguri".

Finalmente Aspasia sorrise. " Vi ringrazio, dottore, ma non mi stavo inquietando. Pensavo soltanto a quel che una volta mi disse la principessa di Belgiojoso." " E, di grazia, che cosa vi disse la nostra affascinante principessa?" s'informò Il dottore con sincera curiosità.

"Mi disse che io sono il mio corpo," rispose Aspasia alzandosi e congedandosi con un inchino."

Antonio Scurati, Una storia romantica, Mondolibri, Milano 2008.

mercoledì 23 luglio 2008

Più di una canzone, più di un inno, più di un terremoto, di più.

La notte si confonde con il mare
negli occhi la fatica dell'attesa
sognare via lontano un'altra vita
incontro all'orizzonte, al paradiso

L'antico forte appare tra le rocce
fantasma di un passato tormentato
memoria di catene mai spezzate
e di eterne schiavitù

Stringimi, lasciami Mama Africa, Africa
seguimi, chiamami Mama Africa, Africa

Donami la forza della lava
che ribolle nel tuo ventre violentato
perché possa riposare nel mio cuore
la rabbia che mi prende nel lasciarti andare via
che un giorno questa rabbia sia coraggio
sia radice e nuova linfa e resistenza
e maturi questa antica sofferenza
in rinata dignità

Stringimi, lasciami Mama Africa, Africa
Seguimi, chiamami Mama Africa, Africa

Modena City Ramblers

lunedì 21 luglio 2008

Bozzola. Avevo giurato di non rimetterci mano. Un giorno impareremo a usare le virgole.

Il pozzo della strega era quanto restava di un vecchio rudere. Prima di venire giù completamente era uno di quei luoghi capaci di innescare, nel tempo di uno sguardo, l'incanto sfrontato che fende le anime giovani. Lo fasciava per intero una magia combustibile, germogliata e fiorita con i rampicanti per un'infinità di stagioni attorno a centinaia di pietre e di anni affastellati, e di uomini e di storie. Reno ci arrivò con le caviglie massacrate dai baci delle ortiche ed un largo anticipo sulla mezzanotte pattuita. Acchiappò un refolo di passaggio e lo mandò giù con gusto: lassù l'aria era sempre molto più respirabile di quella che, salendo, si lasciava a valle. Tese l'orecchio al mezzo silenzio della notte d'altura, per abitudine, e perché gli gocciolò in testa la consapevolezza che quella era l'ultima volta. Sentì affiorare alla memoria la voce del vecchio Fubrio, seduto in veranda con la nonna, che raccontava per la milionesima volta la favola sulle migrazioni dei grilli ammutoliti. Dedicò a quel ricordo il suo miglior sorriso mesto, supponendo che il capo di filo di quel suo pensiero sull'aria fresca aveva da essere annodato in un luogo lontanissimo del passato. Da bambino si chiedeva spesso che forma potessero avere i pensieri, col tempo era arrivato alla conclusione che dovevano avere l'aspetto di fili, lunghi come pezzi di vita, con un capo legato ad uno scampolo di tempo e l'altro alla morte. Tutti i fili stanno nella testa e nella vita, e succede che si imbrogliano, si annodano, e qualche volta è pure utile pettinarli. Qualcuno è persino capace di usarli per tessere una storia, e non serve per questo un sarto abile, quel tanto che basta per attaccare bottoni. Insomma: una volta allacciato un filo te lo srotoli dietro per sempre, e così capita che quello qualche volta torni a fare capolino dalla matassa.Raccogliendo una pietra osservò, con un certo disturbo, che era grande e pesante quasi come la manaccia di suo padre. Pestò i tre colpi di rito sopra il masso ancora tiepido, si sa mai che a qualche serpente salta in testa la stravaganza di uscirsene a prendere l'aria fresca, pure lui. Attese ancora un po' prima di sedersi, gettò a terra il suo sacco e fu quel tonfo da panico a suggerirgli di guardare un po' intorno, tanto per accertarsi di essere solo. Perlustrò la zona con lo sguardo. A dirla tutta poi, aveva immaginato il momento molto più buio. Quella notte invece una luna curiosa spiava da vicino, col suo faccione lattescente che pareva spiaccicato contro l'atmosfera terrestre come, sul vetro di una finestra, il nasino di un bimbo che aspetta il bel tempo. La povera collina, così illuminata, sembrava la testa pallida di un vecchio in rotta per la calvizie. Un paio di mesi prima era stata divorata dalle fiamme appiccate da qualche criminale, e del gregge verde che l'aveva popolata per decenni non rimaneva che una schiera esanime di spoglie d'albero carbonizzate. Osservandola ebbe, come spesso gli capitava, la triste sensazione di appartenere ad una razza bislacca di bestie ottuse, sensazione che lo raggiungeva solitamente come una pedata sui denti, ma non quella notte. A schermarlo da tutte le pedate del mondo bastava l'idea che, di lì a poco, sarebbe saltato su un furgone meravigliosamente rumoreggiante, e addio. Oriente... Chissà... Oriente...Solo una parola calda e profumata, mistero di fiore chiuso, rosso negli occhi del toro, sabbia e lingue di fuoco in caduta libera da un cielo traboccante di bagliori. A pronunciarla sentiva una sfera d'aria fulgida e levigata vincergli le labbra, accarezzare la lingua e scivolare lungo il respiro fino a piombare sul fondo e rimbalzare su, trasformata in un gemito di euforia.

Parole che ora parlano di più

"Io capisco che esistono due tipi diversi di amore. C'è l'amore che dura per sempre. L'amore del matrimonio coi figli che crescono e si fanno la varicella e la scarlattina, con la vacanza al mare con la roulotte e il mutuo agevolato per la casa. E poi c'è l'amore che è una cosa di un attimo. E' come quando casca una stella cadente, che pure se sei uno scienziato che studia lo spazio pure tu esprimi il desiderio. Per quell'attimo che casca la stella, non ti metti a fare le teorie sulle stelle spaziali. Davanti a quella stella pensi al tuo desiderio come quando eri ragazzino. E io capisco che l'amore mio e di Marinella è proprio di questo tipo, l'amore di un attimo. Capisco che prima che Marinella smette di ridere io gli devo chiedere una cosa. Una soltanto in questo nostro amore che dura un secondo. Devo chiederlo prima che smette di ridere sennò l'amore mio sarà infranto per sempre, la stella cadente sarà già cascata.


Gli chiedo se "ti posso leccare? nuda... ti posso leccare?"

A. Celestini, La pecora nera, Einaudi, Torino 2006.

Vieni insieme a me stasera, Stella della Strada.

Guardami la notte intera, tienimi a bada.

E ascolta questa nota stonata, come batte nel cuore.

Senti Stella della Strada, questa musica, questo dolore.

Raccogli i bicchieri e i pensieri, e i vestiti sul pavimento,

raccogli l'amore di ieri e buttalo via nel vento.

È ghiaccio se lo tocchi da fuori ma è fuoco che scotta dentro,

è ghiaccio se lo tocchi da fuori ma è fuoco che brucia e non è ancora spento.

Vieni insieme a me stasera, dimentica il mio nome,

saremo i pezzi di una storia vera o di una canzone.

C'è una luna che sale ai tuoi piedi, Venere sta crescendo.

La 'Santabarbara' del tuo cuore, lentamente, sta esplodendo.

Raccogli le perle e la pioggia e l'innocenza del pavimento,

raccogline l'ultima goccia e buttala via nel tempo.

Francesco De Gregori

Dans l'eau de la claire fontaine

Elle se baignait toute nue

Une saute de vent soudaine

Jeta ses habits dans les nues

En détresse, elle me fit signe

Pour la vêtir, d'aller chercher

Des monceaux de feuilles de vigne

Fleurs de lis ou fleurs d'oranger

Avec des pétales de roses

Un bout de corsage lui fis

La belle n'était pas bien grosse

Une seule rose a suffi

Avec le pampre de la vigne

Un bout de cotillon lui fis

Mais la belle était si petite

Qu'une seule feuille a suffi

Elle me tendit ses bras, ses lèvres

Comme pour me remercier

Je les pris avec tant de fièvre

Qu'ell' fut toute déshabillée

Le jeu dut plaire à l'ingénue

Car, à la fontaine souvent

Ell' s'alla baigner toute nue

En priant Dieu qu'il fit du vent

Qu'il fit du vent...

Georges Brassens

Vorrei tanto tirare fuori da tutto questo casino mentale un post che abbia quantomeno uno straccio di senso compiuto.

C'ERA UNA VOLTA

Un simpatico figuro con una discreta faccina di cazzo
che si avvicinò alla sottoscritta un dì
in un noto angolo ricreativo di questa nostra ambigua cittadina
che amo nonostante sia una trappola per giovani topolini
e gira che ti rigira prima o poi incontri lo stesso musetto peloso
che avresti preferito evitare di incrociare per valide ragioni.
Il simpatico personaggio avvertì come...
...non so, un moto di insoddisfazione, forse...
nel vedere il bersaglio più amato dei suoi trascorsi birichini
sorridere felice e contare in pace le bollicine nella sua bionda.
Si avvicinò allora sorridente al sottoscritto zimbello
e senza troppi complimenti e senza perdere tempo in convenevoli
svelò l'effettivo scopo della sua (repellente) idea di comunicare verbalmente
ovvero
fare discorsi imbecilli sull'inutilità di questo
Mio Sacrosanto Spazio Di Scrittura
nonché imbrodare il
Suo (Sacrosanto Pure Quello, E Ci Mancherebbe)
di un lungo e direi anche
austero, o meglio
ridicolo, o meglio
grottesco
elogio a proposito della sua utilità sociale.
E senza dilungarmi a ciò commentare
vissero per sempre nemici e contenti.